L’antimafia a comando è il titolo dell’articolo di apertura di Livesicilia stamattina.
Ne consiglio la lettura, perché riporta alcuni fatti sull’uso della mafia e dell’antimafia per fare politica oggi.
Ma soprattutto perché è stato l’occasione per andare a rileggere il famoso atto di accusa di Leonardo Sciascia contro “I professionisti dell’antimafia“.
In questo articolo, datato 1987, c’è un passaggio sul beneficio che trae chi, in politica, usa convegni, stampa e tv per professare -a parole?- il proprio impegno contro la mafia.
Prendiamo, per esempio, un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi – in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei – come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua che manca all’immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un’azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno.
Oggi, mi sembra, a molti livelli, antimafia è sinonimo di eccellente capacità amministrativa a priori, che esime da ogni eventuale possibilità di subire un giudizio sul proprio operato amministrativo e politico. E se qualcuno prova ad avanzare critiche sulla gestione amministrativa diventa un mafioso, amico dei mafiosi, difensore degli interessi della mafia, salvo poi essere redento, se utile nel mantenere la gestione del potere.
Nel campo della sensibilizzazione dei giovani alla lotta alla mafia mi sembra stiano diventando poco fruttuose marce e convegni, se poi la famiglia riesce ad imporre ad una manifestazione sportiva la consegna di un premio alla memoria di un condannato per mafia, ucciso con arma da fuoco, recuperando, simbolicamente, il terreno delle coscienze dei giovani faticosamente conquistato dal senso civico verso lo stato e la legalità.
Lo ripeto da tempo, se mafia ed antimafia, continueranno ad essere strumenti di lotta politica di parte, da utilizzare contro l’avversario politico, prima o poi diventeranno categorie di una parte che si riconosce in quel modo di fare politica e perderanno il senso di valori universali. A quel punto qualcuno potrà, politicamente, non riconoscersi in quei valori. Peggio se diventeranno solo categorie di un brutto gioco delle parti che la politica, purtroppo, già sta mettendo in scena.